venerdì, maggio 12, 2006

 

riflessioni sul viaggiare N°1 (e ci mancavo solo io)

Dopo anni di viaggi in Africa, sono giunto alla conclusione, personalissima, che i panni del turista, per quanto alternativo e responsabile, non sono i più adatti per varcare porte oltre le quali non ci sono solo paesaggi meravigliosi ma esseri umani, con i quali, per tanti e noti motivi, è spesso impossibile interagire in maniera corretta. Sarebbe già qualcosa se il concetto di “viaggiare” non venisse strumentalizzato e vilipeso da quanti non vogliono ammettere che “anche le loro scarpe lasciano impronte”.
E dove comincia l' Africa? Ma dalla Tunisia naturalmente. L’ inizio di un viaggio, di un continente, dei dubbi, e qualche volta dell’ autoironia!
Douz per certi versi è un luogo emblematico. Per tutta una serie di ragioni, alcune discutibili, viene identificata con il deserto più a buon mercato. Per alcuni di noi la cosa finisce lì, sulle prime dune, per altri è solo l’ inizio...
Chi ha avuto modo di leggere la guida sulla Tunisia edita dalla Lonely planet avrà notato che pur essendo ricca di informazioni attendibilissime, è in sostanza un invito a non visitate la Tunisia. Frasi come: “Persa in mezzo al nulla, l’ insignificante città di Sbeitla...” sono semplicemente demoralizzanti. Di contro alcune pubblicazioni tendono ad enfatizzare e mitizzare, travisando la realtà.

Quello che segue non è un racconto, ma una sorta di fotografia di certi nostri modi di fare. é stato scritto qualche anno fa, ma sembra ancora attuale.

Arrivammo a Douz un giorno di febbraio.
Un manipolo di turisti logisticamente ben organizzato: alber­ghi prenotati, land rover nuove fiammanti e guida plurilingue. Una decina di vacanzieri piu' che predisposti e organizzati a livello menta­le. Ad una inconsistente ma omogenea conoscenza della real­ta' tuni­si­na si amalgamavano dieci concetti personalissimi dell' esotismo. Dieci esotismi quindi che a sommarli non avresti palpa­to un granello di sabbia vera. Dieci foto dello stesso cammello ed ognuno si e' portato a casa un cammello diverso. Dieci cloni su carta Kodak e diapositive piu' falsi dei cammelli di pezza e dei tappeti artigianali fatti apposta per noi, i turisti. Ma ci siamo portati a casa anche quelli. Comunque, le cose che rie­sco­no meglio sono sempre le piu' snel­le, pochi con­cetti ma ben confusi sanci' qualcuno che del mondo aveva una discreta pratica.
Arrivammo a Douz un giorno di febbraio, era giovedi'. Potrei ricordare anche l'ora e il giorno preciso, e sarebbe ancora un giorno qualunque, se non fosse che il giovedi c'e' mercato a Douz. Eravamo venuti a caccia di esotismo e l'agenzia di viaggi aveva fatto in modo che arrivassimo nel giorno miglio­re. In seguito ci ho ripensato, ma allora non ho potuto sfruttare la consapevolezza che il giove­di era il giorno piu' esotico, giron­zo­la­vo tra i banchi del merca­to e basta. In apnea mentale tra odori e colori che stuz­zi­ca­vano la mie emozioni e faceva­no un gran chias­so in quel­l'an­golo del mio cuore dove in segui­to tutto si sarebbe sedimen­tato in malinconici ricordi. Il merca­to, quante immagini dense e saporite che facevo fatica a cacciare intere nell' obietti­vo! Spe­zie, cestoni immensi traboccanti di polverine colorate e ammic­canti. Spezie...erano quelle le spezie che aveva­no fatto il giro della memoria collet­tiva spargendo un aroma che finalmente ci aveva portato a Douz. Io come tutti cacciavo le mani nei cesti, palpavo le polveri e portavo le dita sotto il naso per fissare l'odore nei miei ricor­di. Si celebrava un rito, ma cosa ne sapevo allora. Cesti come acquasan­tiere. Asper­sioni di spezie in quella chiesa che era il mercato. Ma noi pellegrini trascuram­mo i cele­branti, allora furono solo mani protese per la questua, mani scure che ricevevano il compen­so per le relique che traspor­tammo con noi senza sapere che tra le mura domestiche si sarebbe­ro trasmutate in blasfemi feticci. Li tra­scurammo i vendi­tori cele­branti, impegnati come eravamo a proteg­gere noi stessi dall' atavica paura del diverso. Va bene le spezie, le ceramiche, le pipe ad acqua, i tappeti e le palme, ma gli esseri umani no! Una cosa alla volta per favo­re...pri­ma gli ogget­ti inani­ma­ti­, fanno meno male. Non ti mo­strano quello che non vuoi vedere. Certo, non fu una cosa ben fatta, ma almeno, in questo quadretto mistico si e' inserito anche il pentimento, e non ci sta affatto male. Solo pochi grammi di penti­mento ma dall' odore cosi' intenso che mi avreb­be ripor­ta­to a Douz con uno spiri­to diver­so. Tanto per essere chia­ri: non tornai di certo a Douz in pelli­grinaggio, preda di chissa' quali rimor­si o penti­men­ti. Ci tornai per verifica­re se tutte le cose, e a questo punto le perso­ne, erano ancora al loro posto. Forse con un po' di presun­zio­ne ci tornai sperando che aleggiasse ancora nell' aria l' odore delle spezie, che il deserto e le palme fossero ancora piu' esotiche di come le avevo trovate allora. Piu' bello che sui libri e le foto. Ci tornai per mettere in valigia le stupende anfore in terracotta di cui il mercato di Douz era stracolmo.
Insomma, bisogna riconoscere che Arrivammo a Douz in un giorno particolare, di giovedi', il giorno di mercato. A prendersi la briga di leggerle, su tutte le guide turistiche c'e' scritto che a Douz il giovedi si tiene il mercato settimanale. "E' uno dei piu' importanti della Tunisia. Uno di quei rari luoghi in cui e' ancora possibile vedere i nomadi esporre i loro animali al merca­to".
La nostra guida plurilingue era veramente preparata: ci condu­sse attraverso un dedalo di banchi di vestiti, e gia' li mi sentivo come le setole del pennello sulla tavolozza dei colori, fino all' arca di noe'. Ci fermammo stupefatti sul primo gradino di una scalinata che scendeva in un avvallamento del terreno dove da tempo immemorabile ( fa piu' effetto) si svolgeva il merca­to del bestiame. Avevamo raggiunto una posizione strategica, con un solo colpo d'occhio e di obiettivo abbracciavamo il mercato di animali piu' importate della Tunisia. ­Cam­mel­li, asini, capre e peco­re. Un serra­glio affa­sci­nan­te. C'erano anche i nomadi, non ce lo dimentichiamo, erano li! Davanti o allineati ai loro anima­li. Ci sarebbe stato da chiedersi se quel pullulare di esseri viventi esisteva anche negli altri giorni. Il lunedi ad esempio. Come sarebbe stata la piazza del mercato di lunedi? Non ci pensai io, come credo non ci abbia mai pensato nessuno. Fendevamo la folla ebbri di esotismo. Un giro veloce della piazza e risalimmo la scalinata felici di averlo fatto. Ad onor del vero provai una punta di amarezza dovuta al mio abbigliamento che sembrava grida­re "non sono uno di voi". Avrei voluto esserci nel modo piu' completo, assaporare fino in fondo il mercato di Douz. Padrone di casa e non ospite. Penso di aver desiderato incosciamente un cammello tutto mio da mostrare con orgoglio e vendere quasi con dispiace­re. Spara­re un prezzo esagerato e prepararmi ad un dra­stico ribasso mostrando i denti sani della bestia. Ma purtroppo non ci si improvvisa nomadi e mercanti. Esposi solo i miei Dinari tuni­sini ai soliti incauti acquisti. Come non comprare una rosa del deserto? E poi la seconda perche' e' piu' bella. La terza perche' costa meno. La quarta per regalarla a qualcuno a cui ancora non avevo pensato. La quinta e le successive le presi cosi', un po' per ingordigia, un po' per assuefazione. Misi nel sacco le pietre del deserto e la superficialita' e mi piazzai davanti alla land Rover pronto a partire. Per dove? Forse qual­cuno mi ha visto, chino sul basso ingresso di una abita­zione troglodi­ta di Matmata. Ma come essere sicuri che fossi proprio io tra la folla di turisti travolti dall' afrore della parola troglodita? A Matmata ci siamo andati anche noi, ma prima abbiamo assaporato fino in fondo il Clima onirico di Douz. Per me il de­serto e' sempre stato il deserto: una immensa, piatta, piattissi­ma diste­sa di sab­bia. Il mare di sabbia, cos'altro poteva essere? Ben­che' abbia visto film e docu­men­ta­ri che mostra­vano picchi e avvalla­menti, nono­stante mi sia consu­mato gli occhi su foto d' autore il cui sog­getto era sempre il deserto ad onta degli arbusti, delle pietre e della varieta' del paesag­gio, nessun elemento geografico o paesaggistico aveva mai mutato il mio concetto di mare di sabbia. Neanche alle onde avevo pensato, era piatto e basta. E' difficile modificare le opere compiute della nostra immaginazione per poterne sovrapporre i tratti con la realta'. Sarebbe come ammettere che un quadro incorniciato e' da rifare; fai prima a farne un altro. Eppure quando misi i piedi sul bordo del mare di sabbia di Douz scoprii che non era piatto, e non era neppure il soprammobile diafano che avevo immaginato. Quante emozioni indescrivibili in pochi attimi! Una duna immensa oltre la quale si nascondevano infiniti granelli di sabbia dispo­sti in dune piccole e grandi, monticelli, contorni di impronte anima­li. Granelli in ordine sparso sulle foglie secche dei radi arbusti. Avvallamenti e crateri svuotati dal vento e davanti a tutto questo la grande duna di Douz. I maligni insinuano che non e' stato il vento a formare questa collina di sabbia ma i pro­prietari degli alberghi per la gioia dei turisti. E' una triste eventualita', ma la duna e' stupenda e l' esercito di drome­dari ai suoi piedi e' pronto a dispensare emozionanti traversate nel mare di sabbia. Si! Mare di sabbia! Che conservi almeno il nome. E' impressionante questo mare visto da dietro la duna. La sua mole nasconde gli alberghi e la citta' intera sicche' resta solo la sabbia e il tramonto. Ed e' l' apice dell' esotismo. Non puoi non innamorarti, e' un colpo di fulmine. E' vero che poi passa, ma sotto c'e' la sostanza, i colori sono veri e la sabbia pure e il rapporto si consolida. ­Ho prova­to in segui­to a con­den­sa­re in imma­gi­ni com­piu­te quelle sensazio­ni, ma ho sco­per­to che la real­ta' aveva creato una nuova visione. Questo e' un altro motivo per cui tornai a Douz in un giorno di mercato: volevo scoprire se il deserto che avevo visto e toccato esi­steva realmente. Volevo verificare se il mio amore, le mie fantasie avevano in­fluito sul suo umore. Fu cosi' che dopo tre anni dal primo viag­gio capitammo a Douz in un giorno di mercato. Noleggiammo un' auto a Tuni­si e partimmo in un giorno qua­lun­que, ma alle porte del deser­to era ancora giove­di'. Se qual­cu­no mi racconte­ra' che e' stato a Douz in un giorno di mercato, comin­ciero' a pensare che da quelle parti e' sempre mercato oppure e' solo giove­di'.
L' unica differenza, se proprio bisogna rimarcarla e' che non era Febbraio ma il mese di Agosto.
C'era­no sempre i gruppi orga­niz­zati con i loro fuori-stra­da, segno che nulla era forse cam­biato. Parcheg­giammo fidu­ciosi in una comoda stradina non riu­scendo a spiegarci come mai i turi­sti lasciavano le vettu­re cosi' lontano, e ci inoltram­mo speran­zosi nella piazza del merca­to. Con quanta delu­sione scoprii che tutto era stato vendu­to: anfore, tappeti, spezie ed esotismo. Tutto venduto. Restavano sui banchi solo articoli comuni come scarpe di gomma, utensili col manico di plastica, recipienti d' allumi­nio, luc­chetti, torcie elettri­che, ricambi per cucine a gas, frutta e verdu­re che poco aveva­no di esoti­co se non di commesti­bile. Ma questa e' una questione di gusti. E il merca­to tanto affascinante che ricorda­vo? gli odori intensi, i mistici offi­cian­ti, l' atmo­sfe­ra, che fine avava fatto l' atmo­sfera di tre anni prima? Venduta anch' essa insieme alle anfore di terra­cotta. Tre, ne restavano soltan­to tre e le com­prammo. Non perche' erano belle, ma per quello che significa­vano. Noi, gli ultimi deposita­ri dell' artigianato tunisino. Solo in seguito mi e' venuta l'idea di rilevare con un satel­lite la di­stri­bu­zione sulla super­ficie terrestre di tutte le anfore tunisi­ne. Purtroppo non ho mai avuto il tempo di pro­porre al National Geographic In­stitute que­sta interessante indagi­ne geografica.
Ci dirigemmo speranzosi verso il mercato degli animali; i banchi con gli abiti c'era­no anco­ra, ma i colori erano sbiaditi. Ad onor del vero c'era­no anche gli animali, ma anche qui altra delusione. E la colpa fu proprio di asini e cam­melli. Sco­primmo che l' essen­za del mercato non erano le nostre emo­zioni ma quelle delle bestie. Ci tornarono alla mente le teste di animale appese sull' uscio delle macellerie secondo l' usanza araba. Una in particolar modo: testa di cammello. Quel giorno, secondo il rito islamico, la carne macellata apparteneva a quel­la testa, la piu' orripilante che avessi mai visto. Non che gli occhi vitrei di una mucca siano da preferire, ma quel cammel­lo mi e' rimasto impresso.
C'e­ra­no infine coni­gli e polli intrappolati in ceste impa­gliate e gabbie di carto­ne, pecore e capre. Furono i loro occhi spaven­tati, la consapevolezza del laccio alle zampe, la certezza del giogo, l' attesa inutile di un filo di erba verde, la mancanza dell' ombra sotto il sole di Agosto, fu il senso di quoti­diano nei gesti della gente a dare defi­niti­va­mente un' impronta a quel giove­di' di mercato.
Con le nostre tre anfore piene di delu­sio­ne e forse con un pizzi­co di esperien­za in piu' ci diri­gemmo alla macchina. Sco­primmo allora che l'espe­rienza non si conquista in un paio di giovedi: eravano rimasti intrappolati nel mercato. Tutte le vie di acces­so, e quindi di fuga erano state tran­senna­te dalla poli­zia. Facemmo avanti e indietro tra la folla del merca­to di Douz scorta­ti da una torma di ragazzini ansiosi di trarci d'im­paccio in cambio di una lauta mancia. Scansammo carretti e attraversammo vicoli costruiti a misura delle fiancate dell' auto. Salutammo donne per­ple­sse sulla soglia di casa. Superammo botteghe di fabbri e falegnami. Facemmo insom­ma appena in tempo ad osser­va­re la vera Douz che si celava alle spalle del mercato che ne fummo fuori. Fos­se suc­ces­so al merca­to sotto casa sareb­be stato al­tret­tan­to interes­sante?
Felici per averlo fatto ma purtroppo delusi per esserci stati ci diri­gem­mo a sud. Passammo davanti alla grande duna con la speran­za che almeno lei avesse conservato il suo fascino. Altra delu­sione: tutto intorno sono sorti una selva di alberghi, eccole le famose cattedrali nel deserto! Ma del panorama non resta molto. Forse non e' vero che i pro­prie­ta­ri degli hotel hanno dato una mano al deser­to nell' innal­zare la grande duna, ma e' pur vero che il deserto ha permesso loro di costruire gli alberghi. Dal canto mio affermo che la grande duna di Douz e' come un' opera incerta nella teca polverosa di un museo mal tenuto. Vorrei solo sapere chi e perche' ha rubato la tar­ghetta con le spiega­zioni.
Insomma, e' facice arrivare a Douz nel giorno del mercato, anche in piena estate, ­me­no facile rassegnarsi all' idea che nei luoghi a cui ci legano i sogni non biso­gne­rebbe mai tornare. Mi chiedo ancora­ se quella misera differenza di una ventina di gradi centi­gra­di abbia in­fluito sulle sorti di quel giorno di mercato di un giove­di' di Agosto.

Comments:
oh fly!!
credi che abbiamo meritato di trascorrere tutto questo tempo per leggere la siffatta, invece di impiegarlo in altro modo!!!
(e ci mancavi solo tu...
 
"E' una grossa scempiaggine costruita riga dopo riga dalle varie Karen Blixen e Ernest Emingway"...

ehm.. forse non è proprio colpa loro quanto dei blixiani e hemingwayani..??
 
imparato molto
 
leggere l'intero blog, pretty good
 
quello che stavo cercando, grazie
 
mi fa piacere che a distanza di tanto tempo dalla pubblicazione di questo post ci sia ancora qualcuno interessato. Buona lettura
Enrico
 
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