mercoledì, maggio 31, 2006

 

riflessioni sul volontariato

Credo sia arrivato il momento di cominciare a riflettere seriamente sull’opportunità di andare in Africa a fare esperienza sulla pelle della gente barricandosi dietro la parola “volontariato”. Non è eticamente corretto riportarsi a casa “il respiro dell’Africa” i “sorrisi dei bambini” le foto dei derelitti e mettersi poi a posto la coscienza con qualche adozione a distanza. Sono stufo di sentir dire che gli Africani sembrano bambini! Sono stufo di sentir dire:”avevo bisogno di quest’esperienza”. Fare volontariato credo significhi mettersi al servizio del prossimo e che bisogna esserne capaci. Se andiamo solo a dare ordini, a fare fotografie e crogiolarsi nell’esotismo lo possiamo chiamare volontariato? Usiamo un altro termine, per piacere, e il problema è risolto. Sono tornato in Costa d’Avorio dopo sei anni, per la terza volta. Il mio rapporto professionale con l’Africa è confinato nell’ambito dell’edilizia: idraulica, elettricità, falegnameria e tutto quanto contribuisce a tirare su una struttura. Questo è il mio lavoro e non metto il naso nelle scienze infermieristiche, nell’istruzione o in generale in cose che non sono di mia competenza. Nel frattempo “ABBIAMO” edificato parecchio: muri, bagni, missioni e case, ma tutto, dico tutto, sembra solo una “esercitazione” di alunni svogliati. Costruzioni appena terminate sembrano vecchie di trenta anni e hanno già bisogno di interventi drastici di risanamento. Basta entrare in un ambiente, i bagni sono emblematici, per comprendere che si tratta di miseri tentativi di portare a termine, senza convinzione né preparazione, qualcosa di cui non si capisce l’essenza. Ho come il sospetto che se certi bagni devono essere d’esempio è veramente difficile veicolare il concetto di igiene. Mi si dice sempre che il problema è economico e che bisogna portare a termine i progetti con pochi soldi. Io non sono convinto che il problema vero siano i soldi, ma piuttosto le motivazioni di base, la mancanza di rispetto per il prossimo e anche le competenze tecniche: se le risorse economiche di un cantiere non sono gestite da un geometra capace e che conosce l’ambiente e la cultura del posto dove opera difficilmente sono impiegati bene. Se un cantiere me lo gestisce un missionario, evidentemente senza competenze edili, con la pretesa di essere onnipresente perché è convinto che i “ negri” non hanno voglia di fare nulla e non sono capaci di fare nulla, difficilmente ci possiamo aspettare grossi risultati sia sul piano edile che umano. Inoltre mi sembra poco lungimirante considerare solo i costi di impianto senza considerare poi le spese di manutenzione e mantenimento. Spese che ci saranno comunque e dipenderanno inesorabilmente dalla qualità del progetto. Spesso andiamo in Africa per far fronte all’emergenza…ma chi l’ha creata? Altre volte andiamo solo per impostare il lavoro, per fare la parte più difficile, non alla portata dei poveri negretti ignoranti e quasi sicuramente non parliamo una parola di francese e tanto meno ci sforziamo di dire almeno buongiorno nella lingua locale. E’ condivisione questa? E’ promozione umana? Andiamo a fare gli scienziati in mezzo ai cantieri e mai una volta che ci si sforzasse di spiegare che cos’è un angolo di 90 gradi, una linea retta o un perpendicolo, poi però, ed è la norma, potrei citare decine e decine di esempi, ci lamentiamo che i muri sono tutti storti, che piove dentro casa, Che i pavimenti sono tutti storti e le porte non si chiudono, che gli africani hanno impiegato una vita a mettere quattro piastrelle di rivestimento e le hanno messe anche male. Provateci voi a mettere piastrelle su un muro storto! Non ha un costo in vile denaro tutto questo? Non sto facendo uno sterile trattato di edilizia spicciola, a questo punto sto solo parlando di soldi sottratti ad attività ben più importanti. Andiamo sempre con la convinzione che in Africa non ci sia nulla e portiamo tutto dall’Italia, spesso senza discernimento, cose utili e inutili; con gli inconvenienti che la cosa comporta. La mia proposta scontatissima, banale, ingenua è: quando ce la prendiamo la briga di verificare che ad Abidjan si trova tutto il necessario? Quando ci sediamo a fare due conti per scoprire che è antieconomico continuare ad utilizzare i prodotti cinesi comperati nei mercati che ti si rompono in mano ancor prima di montarli? Ma soprattutto mi chiedo: a quando risale la nostra frequentazione con l’Africa? (parlo del volontariato). Continuiamo a lamentarci che in Africa non c’è un idraulico, un elettricista capace, che non si trovano muratori…a parte il fatto che non è vero, perché non facciamo studiare i ragazzi del posto invece di continuare a mettere le “pezze” e accontentarci di strutture con bagni che non funzionano o fanno schifo? Un bagno senza mattonelle non è un bagno. Non ci stupiamo se poi la gente, anziché entrare in un loculo di cemento omologato bagno, preferisce continuare a lavarsi nel catino di sempre. Un bagno dove non esce l’acqua non è un bagno, sono soldi sprecati e in conclusione è questo che lamento. Se bisogna spendere soldi per un bagno che tale non è, allora facciamo studiare un ragazzo, i bagni li faremo tra cinque anni. Se un impianto elettrico lo fa un africano a casa sua senza predisporre un interruttore differenziale o salvavita non ho nulla da obiettare, ma se lo realizza un europeo allora sono convinto che la cosa sia amorale perché non capisco proprio come la pelle di un africano che rimane fulminato possa valere i 30/40 euro di un salvavita. Da 11 anni frequento a vario titolo varie realtà africane, ma non ho mai avuto la gioia di vedere un missionario che si è preso la briga di far studiare un tecnico. Ma sono veramente così inaffidabili gli Africani? Tutto questo discorso potrebbe sembrare marginale con tanti problemi di natura diversa da affrontare e risolvere, eppure mi capita in continuazione di vedere missionari e suore costrette a dedicare tempo e risorse a problemi pratici come la manutenzione di una casa…allora costruiamo in maniera corretta: risparmiando soldi, dando l’esempio, facendo formazione tecnica e umana e poi dedichiamoci pure a cose più importanti. Non è certo facendo le cose all’africana (come dice qualcuno) che diamo il buon esempio e finalizziamo correttamente i soldi delle offerte. Quante volte mi è capitato di vedere capi cantiere improvvisati che per mancanza di competenze e con la pretesa di risparmiare hanno speso il doppio per ottenere risultati a dir poco insoddisfacenti! La mia non è polemica, sapendo che i soldi non scorrono a fiumi, mi fa male sapere che una povera creatura non può curarsi o andare a scuola perché i soldi sono finiti nel trasporto e sdoganamento di un container che non contiene nulla di buono, oppure sono finiti nelle casse delle compagnie aeree per i continui su e giù di volontari desiderosi dell’esperienza che ci cambia la vita(a noi, non agli altri). Una buona volta mi piacerebbe proprio fare la somma dei soldi spesi in biglietti aerei da tutti questi tecnici venuti dall’Italia e vedere quanti ragazzi africani avrebbero potuto studiare da geometri e tecnici. Non serve a nulla rispondere che della casa o dell’infermeria si aveva bisogno subito, perché il tempo passa e i problemi restano sempre gli stessi. Vogliamo continuare a vivere e a far vivere nell’emergenza? E la tanto sbandierata promozione umana? Proprio in virtù di questo non dico che non bisogna andare in Africa, ma almeno facciamolo in punta di piedi, con umiltà. Siamo già così pallidi e ci riconoscono subito, se poi facciamo di tutto per richiamare l’attenzione e renderci ridicoli…Qualcuno parla di danni collaterali inevitabili; proviamo a spiegarlo a chi non ha i soldi per curarsi, a chi abbiamo creato aspettative o che si sente come una scimmia allo zoo fotografata a mitraglia come se fosse lui l’animale da baraccone.

 

Equivoci

Un libro da consigliare vivamente: "SOCIETA' AFRICANE" (l'Africa sub-sahariana tra immagine e realtà) a cura di Daniele Mezzana e Giancarlo Quaranta. www.bcdeditore.it

Nell'introduzione si analizzano i luoghi comuni e la visione stereotipata che abbiamo del continente africano, una visione basata soprattutto su degli equivoci.
Tra i tanti mi voglio soffermare su un equivoco contro il quale mi sono scontrato diverse volte e che nel libro viene definito delle tecnologie appropriate. Quelle tecnologie cioè, che noi occidentali riteniamo appropriate a quella che consideriamo arretratezza e semplicità delle società africane e che quindi proponiamo come modello in fase di progetti e cooperazione. Decidere quello che è appropriato per il prossimo è una bella responsabilità e talvolta viene presa alla leggera.
Nella pratica, non riesco a capire come alcuni possano ritenere che un africano non debba pretendere nulla di più di un bagno senza mattonelle. "la mattonella", sembra un dettaglio estetico, ma fa la differenza tra l'igiene e la semplice pulizia...vi pare poco!?! Spesso invece spacciandola come un lusso inulile creiamo un equivoco sull'equivoco. Mi spiego meglio: a Goma (città notoriamente un po' disgraziata) mi è toccato vedere case la cui facciata esterna era completamente rivestita di mattonelle, ho sbirciato dentro alcuni bagni di villini signorili e ho notato che il rivestimento arrivava fino al soffitto. Cosa significa tutto questo? Per me è evidente che la " mattonella" è assurta al ruolo di status symbol, un po' come da noi la pelliccia. La cosa assurda è che mi è toccato sentire gente (preti italiani) che inveivano contro questi nuovi ricchi che non avevano rispetto per la povertà dei loro fratelli. La mattonella è un concetto di importazione, quindi qualche responsabilità in tutto questo dovremmo pure averla! Un dettaglio: a Goma si trovano le mattonelle ma non la colla per la posa in opera! Se poni il problema, tutti, dico tutti, bianchi e neri, cadono dalle nuvole e ti rispondono che non serve e che ne hanno sempre fatto a meno.
Nell'ultimo seminario appena costruito vedi dei bagni che fanno pena, eppure a guardarlo da fuori, adagiato sulle sponde le lago Kivu sembra una struttura bellissima. Si capisce al volo che di soldi ce ne hanno buttati a palate, perché risparmiare poche centinaia di euro non mettendo le mattonelle ai bagni? Incompetenza? Mala fede? Sono entrato dell'uffico del gestore di telefonia mobile Vodacom, (la facciata esterna è insignificante), per curiosità ho chiesto di andare al bagno, erano uno spettacolo per gli occhi, pulitissimi, ben fatti e accessoriati, con tanto di asciugamani elettrici. A parlare di mattonelle si corre il rischio di passare per matti, ma non si può negare che anche da queste cose apparentemente marginali si percepisce che c'è qualcosa di sbagliato, di "equivoco" nel nostro approccio con le cose africane, come minimo c'è scarso rispetto degli africani!

martedì, maggio 30, 2006

 

Tabagne 2006 Cote d'Ivoire

Sono stato a Tabagne per la prima volta nel 1999, era la mia prima esperienza in Africa come volontario. Ci son tornato dopo sei anni, un periodo d’assenza molto lungo durante il quale ho fatto una serie d’esperienze in Congo. Una parte del mio cuore però è rimasta sempre a Tabagne.
E’ stata sufficiente la prima passeggiata per il villaggio, i primi incontri, per comprendere che il mio legame con questo posto non è frutto delle sole emozioni straripanti della prima volta dove tutto era esasperato dall’inesperienza, non è più “gonfiato” da quell’ esotismo che anche a rinnegarlo ci condiziona sempre. Capisco che nel frattempo molte cose sono maturate. Rivedo una Tabagne impregnata di quotidianità, ed io sono una persona tra le tante che cerca solo di farne parte. E’ stata una visita breve, due settimane soltanto, motivate da urgenze “tecniche”alla missione delle suore. Confesso che non sono partito a cuor leggero, perché è difficile dare un senso ad un viaggio così breve, e almeno secondo me, non è affatto scontato che il viaggio sia un “investimento” per l’Africa, quindi bisogna impegnarsi a fondo per evitare di riportarsi a casa più di quanto si lasci. Mi piace vedere le cose da questo punto di vista!
Una buona parte di questi quindici giorni li ho trascorsi insieme ad un ragazzo che mi aiutava sul lavoro, soprattutto idraulica ed elettricità. Lui aveva tanta voglia d’imparare, ed io un estremo bisogno che il nostro rapporto fosse il più sereno ed equilibrato possibile; basato sulla collaborazione e non come spesso succede sull’imposizione di conoscenze non condivise e quindi sterili. Due “colleghi”, insomma, che i casi della vita hanno portato a lavorare insieme, per poco tempo, è vero, ma forse proprio per questo ancora più prezioso. L’aver incontrato questo ragazzo è stata per me una grande opportunità, da lui ho ricevuto molto, è vero, ma ho anche avuto la possibilità di mettere a sua disposizione quel minimo di tecniche e di trucchi del mestiere che gli serviranno nel suo lavoro. Spesso ripetevo, cercando di non darlo troppo a vedere, lavori già fatti proprio per fare pratica e dopo l’orario di lavoro… un po’ di teoria. Sono “quasi” certo che tutto quello che abbiamo fatto insieme, lui saprà farlo da solo. Ho allestito per lui una cassetta degli attrezzi e comprato un manuale d’idraulica. Altri ne manderò e grazie ad internet gli ho già inviato uno schema elettrico e le spiegazioni relative; vorrei proprio continuare a seguirlo. Ora credo dipenda da lui dimostrare che a Tabagne per certi “lavoretti” non c’è più bisogno che qualcuno parta appositamente dall’Italia. Sarebbe la soddisfazione più grande, e in sostanza la mia unica preghiera. Sembra strano, ma a me mancheranno i momenti passati insieme la sera, le passeggiate e le chiacchiere sul più e sul meno più che le speculazioni sulla “differenza di potenziale”. Spero che per lui sia la stessa cosa.
Nel tempo libero,poco in verità, ho fatto proprio quello che in Italia non facciamo quasi più, o a fatica: ho parlato con la gente! Con il guardiano notturno del CAM, con la signora che vende i Bègnè per strada, con gente incontrata per caso, con l’autista, con i militari al posto di blocco di Bondoukou e tanti altri. “sono gentili perché sei bianco” dice qualcuno forse più disincantato di me. “Anche l’Italia è piena di bianchi, ma non mi sembrano tutti così attenti ai rapporti umani” sono solito rispondere. In questo periodo, oltre tutto, gli Ivoriani non mi sembrano molto ben disposti verso i francesi ed è molto facile fare di tutto il bianco un fascio.
Per l’ennesima volta ho capito che il mio “prossimo” è in Africa, se sia un atto di amore o di riconoscenza non so dirlo, so solo che ne ho bisogno.
A volte però, ho capito che la gente era meravigliata che io dessi loro confidenza, in alcuni casi mi è stato detto apertamente. Lo stupore è tutto mio e non capisco dove sta l’equivoco, come ci si deve rapportare con il prossimo se non dando confiance?
Ho apprezzato per l’ennesima volta cosa significa guardare negli occhi il prossimo dando importanza ai gesti apparentemente meno significativi. Ho assaporato i silenzi, i saluti, gli incontri imprevisti. Mi resterà solo un rammarico: il colore della mia pelle, l’impossibilità di vivere almeno un giorno senza le sovrastrutture che il “bianco” impone.

Dopo anni d’instabilità politica, mi aspettavo una Costa d’Avorio in condizioni ben peggiori. Almeno i luoghi che conosco, invece, mi sembrano migliorati rispetto a sei anni fa. Dopo le prime impressioni positive, è stato doveroso chiedermi se i miei giudizi fossero condizionati dall’esperienza in Congo dove la barbarie dell’uomo, più che l’imponderabilità della natura, ha privato intere comunità delle cose essenziali. Ma è innegabile: sei anni fa non c’era questo fervore edile che si vede ovunque, le strade e le piste sono in buono stato, I negozi di Abidjan sono pieni di ogni ben di Dio, e i campi sono tutti coltivati. Bondoukou mi sembra una cittadina “sonnacchiosa” e quasi ordinata…e mi viene voglia di essere ottimista. Certo, è molto forte il contrasto tra una capitale che, almeno sotto certi aspetti, non ha nulla da invidiare a tante città europee e i villaggi più isolati come Tabagne. Sembrano due realtà lontane anni luce, e invece sono a meno di mezza giornata d’auto. E capisco ancora una volta il motivo del mio ottimismo: non provo come altrove la sensazione d’impotenza, il disagio di sapere le risorse e i mezzi inaccessibili e l’obbligo di dover contare solo ed esclusivamente sul poco o nulla a disposizione. Sicuramente è aumentato il divario tra ricchi e poveri, ma ci sono ancora i presupposti per migliorare la situazione. Qui la salute e l’istruzione, ad esempio, potrebbero non essere un problema di risorse, ma di organizzazione, di scelte politiche e soprattutto morali. Ad Abidjan avevo bisogno di dizionari da portare a Tabagne e non solo ho trovato i migliori, ma, addirittura in un supermercato, ho acquistato i manuali d’idraulica e falegnameria che cercavo da tempo, li spedirò in Congo alla prima occasione.
Cosa mi resta di quest’esperienza? La certezza che spesso non è d’aiuto che ha bisogno l’Africa, ma di collaborazione e di condivisione vera.

mercoledì, maggio 24, 2006

 

Riflessioni sul viaggiare N°2

Quello che segue è il comment di un mio amico, troppo lungo e "sfaccettato" per essere relegato tra i comment, lo pubblico integralmente.

Caro il mio Enrico, quante volte, negli ultimi 4 anni abbiamo affrontato discorsi come questo e in particolare disquisizioni sul "come" e "dove" viaggiare.........Io un tuo diario di viaggio-africano l'ho letto tutto intero e.......Quello che voglio scriverti, prendendo spunto da queste riflessioni sulla Tunisia (che tra l'altro sai non mi stimola nessuna sensazione particolare nonostante i miei 15 giorni trascorsi per lavoro, a interagire con loro ognuno secondo i propri ruoli), è che condivido pienamente il non vestire panni da turista "occidentale" quando ci si aspetta da un "viaggio" un arricchimento, una crescita, una maggiore consapevolezza dell'esterno e dell'altro e lode alla tua espressione di qualche settimana fà, seppur rubata ad un libro, MIO FRATELLO E' SENEGALESE !!!! ( La frase completa è: Il mio prossimo è in Senegal dal titolo di un bellissimo libro di Giuseppe Cecconi Bandecchi e Vivaldi editori n.d.a.)
Per me rende benissimo il concetto e sai che ne sono stato e ne sono "pregno" di questa sensazione; ma il mio peregrinare inarrestabile per tutti e 5 i continenti e sottolineo 5 (che pecca la tua!!!!!) mi ha portato inevitabilmente ad allargare l'orizzonte in tutti i sensi chiaramente; l'osservare prima e l'entrare in contatto poi con realtà che vivono davvero distaccate dai nostri status symbol e dai nostri parametri di giudizio, e soprattutto sotto un'altra religione (non cristiana, mussulmana o monoteista, ma induista e buddista) a spinto la mia mente a credere quasi definitivamente che la solidarietà è superata !!!!Già, altre volte, ti e vi ho platealmente provocato affermando per esempio che la democrazia è un sistema di governo ampiamente superato..... (i tifosi della Lazio non possono votare!!).chi leggerà e non mi conosce penserà che sono matto, beh per me poco male -meglio matto e anarchico che falso democratico di destra o sinistra, ma perchè questa è democrazia??? che tristezza!-, ma al di là delle provocazioni questa sulla solidarietà la voglio spiegare bene per non lasciare spazio a cattive interpretazioni.Io penso che il romanticismo è finito, come nella tua DOUZ, ormai nel 2006, periodo in cui paradossalmente vediamo sfilare, per esempio, nelle vie di Nyamilima gente con il telefonino a fianco di bimbi o donne con la legna in testa per cucinare, in un territorio dove il senso di Stato, e non solo il senso, non esiste, dove si cura l'AIDS con il bactrim forte, dove i "soliti" bambini malnutriti muoiono come insetti, sotto appunto ripetitori per cellulari e parabole per la Tv,(ma con quale corrente poi?): IL ROMANTICISMO E' FINITO!Bisogna fare un passaggio determinante dalla solidarietà, intesa come semplice aiuto seppur importantissimo al di là delle provocazioni, all'impegno "politico" reale per fornire strumenti culturali veri e non solo cattolici, a questi popoli.Un impegno politico, dove politico è da considerarsi nel senso puro del termine, nel senso "greco" filosofico della parola, che mira a portare innanzitutto una diversa percezione del problema "paesi poveri" proprio a Casa Nostra e che poi trasmetta invece a loro la consapevolezza della necessità di una evoluzione autonoma mentalmente e in futuro praticamente.Forse mi sto spiegando male, ma intanto si scrive malissimo su uno spazio così stretto, e poi è difficile scrivere e non "parlare" di certe cose; comunque ribadisco il concetto : IL PASSAGGIO DALLA SOLIDARIETA' ALLA "POLITICA" E' FONDAMENTALE !Cominciamo a parlare di fame nel mondo come CRIMINE DELL'UMANITA', consideriamolo alla stregua dei grandi crimini di guerra nazisti, serbi,americani, iracheni, turchi, etc., etc. Quando parliamo di INGIUSTIZIA SOCIALE NEL MONDO, parliamone come quando pensiamo alla SHOA dei "fenomeni" israeliani (e che nessuno si offenda). L'ingiustizia che noi paesi ricchi perpetriamo sul mondo povero deve essere vissuta come un'onta personale per ogni individuo, siamo noi con la nostra vita, sempre uguale sempre quella, con i nostri "compromessi etico-morali" che contribuiamo al diffondersi della "grande ingiustizia sociale". Proviamo a fare questo passaggio mentale nel quale la prima preoccupazione non è più la solidarietà, ma diventa l'impegno morale a indignarsi seriamente come esseri umani nel sapere che oggi non so quanti bimbi moriranno di fame, quante donne saranno violentate, bimbe abusate, bimbi uccisi e costretti a uccidere...... INDIGNAMOCI !GRIDIAMOLO SEMPRE, OGNI GIORNO, A TUTTI. LA VERA VERGOGNA FORSE è CHE AL DI LA' DEL FARE VOLONTARIATO (NOBILE OPERATO PER CARITA') CI SFUGGE QUESTO CONCETTO DI CORRESPONSABILITA' CHE DEVE INDIGNARCI COME DAVANTI AD UN CAMPO DI STERMINIO TEDESCO, NE UNA VIRGOLA DI PIU', NE UNA DI MENO.La mia speranza è che come l'olocausto ebreo è oramai patrimonio mentale per quasi tutti,come percezione di un qualcosa di irripetibile, di ingiustificabile...., che questa disparità, ingiustizia, sfruttamento che i paesi poveri dei 5 continenti subiscono, SIA AVVERTITA DALLA GENTE, DAL POPOLO, COME QUALCOSA DI INAMMISSIBILE, NON ACCETTABILE.Ti bacio.
Leonardo L'indignato

domenica, maggio 21, 2006

 

perplessità

Qualche tempo fa sono andato al mercato a cercare dei pantaloni da lavoro estivi da portare con me in Congo, ho provato ad una bancarella abbastanza famosa che vende abiti usati e seminuovi.
"a cosa ti servono?" mi ha chiesto il venditore
"ci devo lavorare" ho risposto
" si ma ma non è ancora periodo di pantaloni estivi" la replica
"Ci devo lavorare in Africa" ho risposto
" Ahhhh!!! in africa,e dove, in Congo?" Mi fa lui
"mah, con 52 stati come hai fatto ad indovinare che andavo proprio in Congo?"
"Ci lavora mio fratello, acquista abiti usati a peso, in balle, e li spedisce in Italia."
Me ne sono tornato a casa senza pantaloni e con qualche perplessità; non si può certo dire che l'Africa sia un buon produttore di roba di scarto, non sarà che i vestiti usati escono dai nostri armadi e poi ci rientrano passando per il Congo?

 

Costa d'Avorio: visita del presidente della repubblica a tabagne

Ieri il presidente della repubblica S.E.M. LAURENT GBAGBO era in visita a tabagne.
di seguito un estratto del comunicato ufficiale e di un articolo di Fraternite matin giornale di Abidjan.


COMMUNIQUE DE PRESSE DE LA PRESIDENCE DE LA REPUBLIQUE S.E.M. Laurent GBAGBO rend visite aux populations de Bondoukou, Tanda et Yamoussoukro. - 2006-05-16 11:11:54
Le Président de la République effectue du lundi 22 au jeudi 25 mai 2006, une visite d'Etat dans les départements de Bondoukou et Tanda (Région du Zanzan).
Obiectif: toucher du doigt les réalités de cette partie de la Côte d'Ivoire




Fraternite matin
Le Président Gbagbo à Bondoukou lundi prochain

Du 22 au 26 mai prochain, le Chef de l'Etat se rendra dans la région du Zanzan puis recevra le 27 mai à Yamoussoukro, les clés de la Maison des députés.
Le Chef de l'Etat, Laurent Gbagbo, effectuera une visite d'Etat dans la région du Zanzan du 22 au 26 mai. Selon les services de communication de la Présidence de la République, cette visite s'inscrit dans le registre de celles qu'il a déjà effectuées dans le pays profond depuis son accession au pouvoir en 2000. Il s'agit, pour le Président Laurent Gbagbo, d'aller à la rencontre des populations, de toucher du doigt leurs difficultés. Mais, nos sources précisent que le séjour de M. Gbagbo à Bondoukou et sa région revêt un caractère particulier. "Le Président va particulièrement féliciter ces braves populations qui ont barré la route aux agresseurs de la Côte d'Ivoire. Rappelez-vous combien de fois les rebelles ont tenté et échoué de prendre Bondoukou", font remarquer ces sources, non sans fierté. Toutefois, les services de communication de la Présidence insistent que le Président Gbagbo saisira cette rencontre avec les populations du Zanzan pour les inviter à adhérer résolument au processus de paix et de réconciliation en cours. Pour communier avec le peuple du Zanzan, indiquent nos informateurs, le Président se rendra dans plusieurs localités de la région. Après Bondoukou, ce sera au tour de Yamoussoukro de revoir le Chef de l'Etat le 27 mai. Dans la capitale politique, le numéro un ivoirien réceptionnera les clés de la Maison des députés prête à accueillir ses locataires. Puis le 28 mai, le Président Laurent Gbagbo célèbrera la fête des mères avant de regagner Abidjan. Aujourd'hui, le Chef de l'Etat sera aux côtés des populations de Memni (Alépé) qui fêtent leur fils, Jacques Anouma, président de la Fédération ivoirienne de football, qui a été récemment nommé ambassadeur par M. Gbagbo.Pascal Soro

venerdì, maggio 12, 2006

 

riflessioni sul viaggiare N°1 (e ci mancavo solo io)

Dopo anni di viaggi in Africa, sono giunto alla conclusione, personalissima, che i panni del turista, per quanto alternativo e responsabile, non sono i più adatti per varcare porte oltre le quali non ci sono solo paesaggi meravigliosi ma esseri umani, con i quali, per tanti e noti motivi, è spesso impossibile interagire in maniera corretta. Sarebbe già qualcosa se il concetto di “viaggiare” non venisse strumentalizzato e vilipeso da quanti non vogliono ammettere che “anche le loro scarpe lasciano impronte”.
E dove comincia l' Africa? Ma dalla Tunisia naturalmente. L’ inizio di un viaggio, di un continente, dei dubbi, e qualche volta dell’ autoironia!
Douz per certi versi è un luogo emblematico. Per tutta una serie di ragioni, alcune discutibili, viene identificata con il deserto più a buon mercato. Per alcuni di noi la cosa finisce lì, sulle prime dune, per altri è solo l’ inizio...
Chi ha avuto modo di leggere la guida sulla Tunisia edita dalla Lonely planet avrà notato che pur essendo ricca di informazioni attendibilissime, è in sostanza un invito a non visitate la Tunisia. Frasi come: “Persa in mezzo al nulla, l’ insignificante città di Sbeitla...” sono semplicemente demoralizzanti. Di contro alcune pubblicazioni tendono ad enfatizzare e mitizzare, travisando la realtà.

Quello che segue non è un racconto, ma una sorta di fotografia di certi nostri modi di fare. é stato scritto qualche anno fa, ma sembra ancora attuale.

Arrivammo a Douz un giorno di febbraio.
Un manipolo di turisti logisticamente ben organizzato: alber­ghi prenotati, land rover nuove fiammanti e guida plurilingue. Una decina di vacanzieri piu' che predisposti e organizzati a livello menta­le. Ad una inconsistente ma omogenea conoscenza della real­ta' tuni­si­na si amalgamavano dieci concetti personalissimi dell' esotismo. Dieci esotismi quindi che a sommarli non avresti palpa­to un granello di sabbia vera. Dieci foto dello stesso cammello ed ognuno si e' portato a casa un cammello diverso. Dieci cloni su carta Kodak e diapositive piu' falsi dei cammelli di pezza e dei tappeti artigianali fatti apposta per noi, i turisti. Ma ci siamo portati a casa anche quelli. Comunque, le cose che rie­sco­no meglio sono sempre le piu' snel­le, pochi con­cetti ma ben confusi sanci' qualcuno che del mondo aveva una discreta pratica.
Arrivammo a Douz un giorno di febbraio, era giovedi'. Potrei ricordare anche l'ora e il giorno preciso, e sarebbe ancora un giorno qualunque, se non fosse che il giovedi c'e' mercato a Douz. Eravamo venuti a caccia di esotismo e l'agenzia di viaggi aveva fatto in modo che arrivassimo nel giorno miglio­re. In seguito ci ho ripensato, ma allora non ho potuto sfruttare la consapevolezza che il giove­di era il giorno piu' esotico, giron­zo­la­vo tra i banchi del merca­to e basta. In apnea mentale tra odori e colori che stuz­zi­ca­vano la mie emozioni e faceva­no un gran chias­so in quel­l'an­golo del mio cuore dove in segui­to tutto si sarebbe sedimen­tato in malinconici ricordi. Il merca­to, quante immagini dense e saporite che facevo fatica a cacciare intere nell' obietti­vo! Spe­zie, cestoni immensi traboccanti di polverine colorate e ammic­canti. Spezie...erano quelle le spezie che aveva­no fatto il giro della memoria collet­tiva spargendo un aroma che finalmente ci aveva portato a Douz. Io come tutti cacciavo le mani nei cesti, palpavo le polveri e portavo le dita sotto il naso per fissare l'odore nei miei ricor­di. Si celebrava un rito, ma cosa ne sapevo allora. Cesti come acquasan­tiere. Asper­sioni di spezie in quella chiesa che era il mercato. Ma noi pellegrini trascuram­mo i cele­branti, allora furono solo mani protese per la questua, mani scure che ricevevano il compen­so per le relique che traspor­tammo con noi senza sapere che tra le mura domestiche si sarebbe­ro trasmutate in blasfemi feticci. Li tra­scurammo i vendi­tori cele­branti, impegnati come eravamo a proteg­gere noi stessi dall' atavica paura del diverso. Va bene le spezie, le ceramiche, le pipe ad acqua, i tappeti e le palme, ma gli esseri umani no! Una cosa alla volta per favo­re...pri­ma gli ogget­ti inani­ma­ti­, fanno meno male. Non ti mo­strano quello che non vuoi vedere. Certo, non fu una cosa ben fatta, ma almeno, in questo quadretto mistico si e' inserito anche il pentimento, e non ci sta affatto male. Solo pochi grammi di penti­mento ma dall' odore cosi' intenso che mi avreb­be ripor­ta­to a Douz con uno spiri­to diver­so. Tanto per essere chia­ri: non tornai di certo a Douz in pelli­grinaggio, preda di chissa' quali rimor­si o penti­men­ti. Ci tornai per verifica­re se tutte le cose, e a questo punto le perso­ne, erano ancora al loro posto. Forse con un po' di presun­zio­ne ci tornai sperando che aleggiasse ancora nell' aria l' odore delle spezie, che il deserto e le palme fossero ancora piu' esotiche di come le avevo trovate allora. Piu' bello che sui libri e le foto. Ci tornai per mettere in valigia le stupende anfore in terracotta di cui il mercato di Douz era stracolmo.
Insomma, bisogna riconoscere che Arrivammo a Douz in un giorno particolare, di giovedi', il giorno di mercato. A prendersi la briga di leggerle, su tutte le guide turistiche c'e' scritto che a Douz il giovedi si tiene il mercato settimanale. "E' uno dei piu' importanti della Tunisia. Uno di quei rari luoghi in cui e' ancora possibile vedere i nomadi esporre i loro animali al merca­to".
La nostra guida plurilingue era veramente preparata: ci condu­sse attraverso un dedalo di banchi di vestiti, e gia' li mi sentivo come le setole del pennello sulla tavolozza dei colori, fino all' arca di noe'. Ci fermammo stupefatti sul primo gradino di una scalinata che scendeva in un avvallamento del terreno dove da tempo immemorabile ( fa piu' effetto) si svolgeva il merca­to del bestiame. Avevamo raggiunto una posizione strategica, con un solo colpo d'occhio e di obiettivo abbracciavamo il mercato di animali piu' importate della Tunisia. ­Cam­mel­li, asini, capre e peco­re. Un serra­glio affa­sci­nan­te. C'erano anche i nomadi, non ce lo dimentichiamo, erano li! Davanti o allineati ai loro anima­li. Ci sarebbe stato da chiedersi se quel pullulare di esseri viventi esisteva anche negli altri giorni. Il lunedi ad esempio. Come sarebbe stata la piazza del mercato di lunedi? Non ci pensai io, come credo non ci abbia mai pensato nessuno. Fendevamo la folla ebbri di esotismo. Un giro veloce della piazza e risalimmo la scalinata felici di averlo fatto. Ad onor del vero provai una punta di amarezza dovuta al mio abbigliamento che sembrava grida­re "non sono uno di voi". Avrei voluto esserci nel modo piu' completo, assaporare fino in fondo il mercato di Douz. Padrone di casa e non ospite. Penso di aver desiderato incosciamente un cammello tutto mio da mostrare con orgoglio e vendere quasi con dispiace­re. Spara­re un prezzo esagerato e prepararmi ad un dra­stico ribasso mostrando i denti sani della bestia. Ma purtroppo non ci si improvvisa nomadi e mercanti. Esposi solo i miei Dinari tuni­sini ai soliti incauti acquisti. Come non comprare una rosa del deserto? E poi la seconda perche' e' piu' bella. La terza perche' costa meno. La quarta per regalarla a qualcuno a cui ancora non avevo pensato. La quinta e le successive le presi cosi', un po' per ingordigia, un po' per assuefazione. Misi nel sacco le pietre del deserto e la superficialita' e mi piazzai davanti alla land Rover pronto a partire. Per dove? Forse qual­cuno mi ha visto, chino sul basso ingresso di una abita­zione troglodi­ta di Matmata. Ma come essere sicuri che fossi proprio io tra la folla di turisti travolti dall' afrore della parola troglodita? A Matmata ci siamo andati anche noi, ma prima abbiamo assaporato fino in fondo il Clima onirico di Douz. Per me il de­serto e' sempre stato il deserto: una immensa, piatta, piattissi­ma diste­sa di sab­bia. Il mare di sabbia, cos'altro poteva essere? Ben­che' abbia visto film e docu­men­ta­ri che mostra­vano picchi e avvalla­menti, nono­stante mi sia consu­mato gli occhi su foto d' autore il cui sog­getto era sempre il deserto ad onta degli arbusti, delle pietre e della varieta' del paesag­gio, nessun elemento geografico o paesaggistico aveva mai mutato il mio concetto di mare di sabbia. Neanche alle onde avevo pensato, era piatto e basta. E' difficile modificare le opere compiute della nostra immaginazione per poterne sovrapporre i tratti con la realta'. Sarebbe come ammettere che un quadro incorniciato e' da rifare; fai prima a farne un altro. Eppure quando misi i piedi sul bordo del mare di sabbia di Douz scoprii che non era piatto, e non era neppure il soprammobile diafano che avevo immaginato. Quante emozioni indescrivibili in pochi attimi! Una duna immensa oltre la quale si nascondevano infiniti granelli di sabbia dispo­sti in dune piccole e grandi, monticelli, contorni di impronte anima­li. Granelli in ordine sparso sulle foglie secche dei radi arbusti. Avvallamenti e crateri svuotati dal vento e davanti a tutto questo la grande duna di Douz. I maligni insinuano che non e' stato il vento a formare questa collina di sabbia ma i pro­prietari degli alberghi per la gioia dei turisti. E' una triste eventualita', ma la duna e' stupenda e l' esercito di drome­dari ai suoi piedi e' pronto a dispensare emozionanti traversate nel mare di sabbia. Si! Mare di sabbia! Che conservi almeno il nome. E' impressionante questo mare visto da dietro la duna. La sua mole nasconde gli alberghi e la citta' intera sicche' resta solo la sabbia e il tramonto. Ed e' l' apice dell' esotismo. Non puoi non innamorarti, e' un colpo di fulmine. E' vero che poi passa, ma sotto c'e' la sostanza, i colori sono veri e la sabbia pure e il rapporto si consolida. ­Ho prova­to in segui­to a con­den­sa­re in imma­gi­ni com­piu­te quelle sensazio­ni, ma ho sco­per­to che la real­ta' aveva creato una nuova visione. Questo e' un altro motivo per cui tornai a Douz in un giorno di mercato: volevo scoprire se il deserto che avevo visto e toccato esi­steva realmente. Volevo verificare se il mio amore, le mie fantasie avevano in­fluito sul suo umore. Fu cosi' che dopo tre anni dal primo viag­gio capitammo a Douz in un giorno di mercato. Noleggiammo un' auto a Tuni­si e partimmo in un giorno qua­lun­que, ma alle porte del deser­to era ancora giove­di'. Se qual­cu­no mi racconte­ra' che e' stato a Douz in un giorno di mercato, comin­ciero' a pensare che da quelle parti e' sempre mercato oppure e' solo giove­di'.
L' unica differenza, se proprio bisogna rimarcarla e' che non era Febbraio ma il mese di Agosto.
C'era­no sempre i gruppi orga­niz­zati con i loro fuori-stra­da, segno che nulla era forse cam­biato. Parcheg­giammo fidu­ciosi in una comoda stradina non riu­scendo a spiegarci come mai i turi­sti lasciavano le vettu­re cosi' lontano, e ci inoltram­mo speran­zosi nella piazza del merca­to. Con quanta delu­sione scoprii che tutto era stato vendu­to: anfore, tappeti, spezie ed esotismo. Tutto venduto. Restavano sui banchi solo articoli comuni come scarpe di gomma, utensili col manico di plastica, recipienti d' allumi­nio, luc­chetti, torcie elettri­che, ricambi per cucine a gas, frutta e verdu­re che poco aveva­no di esoti­co se non di commesti­bile. Ma questa e' una questione di gusti. E il merca­to tanto affascinante che ricorda­vo? gli odori intensi, i mistici offi­cian­ti, l' atmo­sfe­ra, che fine avava fatto l' atmo­sfera di tre anni prima? Venduta anch' essa insieme alle anfore di terra­cotta. Tre, ne restavano soltan­to tre e le com­prammo. Non perche' erano belle, ma per quello che significa­vano. Noi, gli ultimi deposita­ri dell' artigianato tunisino. Solo in seguito mi e' venuta l'idea di rilevare con un satel­lite la di­stri­bu­zione sulla super­ficie terrestre di tutte le anfore tunisi­ne. Purtroppo non ho mai avuto il tempo di pro­porre al National Geographic In­stitute que­sta interessante indagi­ne geografica.
Ci dirigemmo speranzosi verso il mercato degli animali; i banchi con gli abiti c'era­no anco­ra, ma i colori erano sbiaditi. Ad onor del vero c'era­no anche gli animali, ma anche qui altra delusione. E la colpa fu proprio di asini e cam­melli. Sco­primmo che l' essen­za del mercato non erano le nostre emo­zioni ma quelle delle bestie. Ci tornarono alla mente le teste di animale appese sull' uscio delle macellerie secondo l' usanza araba. Una in particolar modo: testa di cammello. Quel giorno, secondo il rito islamico, la carne macellata apparteneva a quel­la testa, la piu' orripilante che avessi mai visto. Non che gli occhi vitrei di una mucca siano da preferire, ma quel cammel­lo mi e' rimasto impresso.
C'e­ra­no infine coni­gli e polli intrappolati in ceste impa­gliate e gabbie di carto­ne, pecore e capre. Furono i loro occhi spaven­tati, la consapevolezza del laccio alle zampe, la certezza del giogo, l' attesa inutile di un filo di erba verde, la mancanza dell' ombra sotto il sole di Agosto, fu il senso di quoti­diano nei gesti della gente a dare defi­niti­va­mente un' impronta a quel giove­di' di mercato.
Con le nostre tre anfore piene di delu­sio­ne e forse con un pizzi­co di esperien­za in piu' ci diri­gemmo alla macchina. Sco­primmo allora che l'espe­rienza non si conquista in un paio di giovedi: eravano rimasti intrappolati nel mercato. Tutte le vie di acces­so, e quindi di fuga erano state tran­senna­te dalla poli­zia. Facemmo avanti e indietro tra la folla del merca­to di Douz scorta­ti da una torma di ragazzini ansiosi di trarci d'im­paccio in cambio di una lauta mancia. Scansammo carretti e attraversammo vicoli costruiti a misura delle fiancate dell' auto. Salutammo donne per­ple­sse sulla soglia di casa. Superammo botteghe di fabbri e falegnami. Facemmo insom­ma appena in tempo ad osser­va­re la vera Douz che si celava alle spalle del mercato che ne fummo fuori. Fos­se suc­ces­so al merca­to sotto casa sareb­be stato al­tret­tan­to interes­sante?
Felici per averlo fatto ma purtroppo delusi per esserci stati ci diri­gem­mo a sud. Passammo davanti alla grande duna con la speran­za che almeno lei avesse conservato il suo fascino. Altra delu­sione: tutto intorno sono sorti una selva di alberghi, eccole le famose cattedrali nel deserto! Ma del panorama non resta molto. Forse non e' vero che i pro­prie­ta­ri degli hotel hanno dato una mano al deser­to nell' innal­zare la grande duna, ma e' pur vero che il deserto ha permesso loro di costruire gli alberghi. Dal canto mio affermo che la grande duna di Douz e' come un' opera incerta nella teca polverosa di un museo mal tenuto. Vorrei solo sapere chi e perche' ha rubato la tar­ghetta con le spiega­zioni.
Insomma, e' facice arrivare a Douz nel giorno del mercato, anche in piena estate, ­me­no facile rassegnarsi all' idea che nei luoghi a cui ci legano i sogni non biso­gne­rebbe mai tornare. Mi chiedo ancora­ se quella misera differenza di una ventina di gradi centi­gra­di abbia in­fluito sulle sorti di quel giorno di mercato di un giove­di' di Agosto.

lunedì, maggio 08, 2006

 

Costa d'Avorio-Amanvì :Le tabouret royal pour femme


Il signore in primo piano nella foto, a quanto pare,
è l'ultimo artigiano che produce i tabouret nel
villaggio di Amanvì. Diceva che a Bondoukou la
tradizione è ancora viva, ma lui non ha allievi e
conserva i disegni dei modelli su una striscia di
cartone. Il Tabouret della foto non sarà curato
nei minimi particolari, in fin dei conti è stato
realizzato in una giornata perché il giorno dopo
sarei partito, ma per me è il più bello di tutti. Ho
raccolto le spiegazioni dei singoli modelli. Ho
anche la versione scritta a mano in Koulangò, ma
riuscire a ricopiarla è un'impresa superiore alle mie capacità. Non c'è nessuno che sa scrivere il Koulangò








Le tabouret royal pour femme

1 et 2 Un vrai roi ne parle pas assez

3 L’incontournable

4 la sagesse

5 tu es responsable de tes actes

6 je ne crains aucun mal en face à n’importe quel problème
7 mon débiteur va tirer sur moi

8 je suis fidèle à mon roi

9 invitez moi quand vous mangez à table

10 à cause de la mort je n’ai pas peur

11 je vais partout ou le roi m’envoie

venerdì, maggio 05, 2006

 

ultime notizie da Nyamilima

Il parroco della missione cattolica di Nyamilima sentito per telefono questa mattina mi ha detto che nei giorni scorsi il villaggio ha vissuto di nuovo momenti tragici.
Ad una azione di "disturbo"degli Interhamwe è seguita una "spropositata" reazione dell'esercito congolese: cannoneggiamenti, ruberie nel villaggio, diversi morti e case distrutte.
Questa mattina si era in attesa dell'elicottero della MONUC con i soliti "capoccioni" a bordo per l'ennesimo punto della situazione, suppongo.
Di seguito un bollettino ufficiale della Monuc sui fatti. A quanto pare ci sono ancora di mezzo i Maï Maï, e dire che nel novembre scorso si stavano consegnando e tutti davano, ottimisticamente, per risolto il problema dei Maï Maï.

KINSHASA, 2 mai 2006 (AFP) - Quinze personnes, dont six rebelles hutus rwandais, huit civils et un soldat de l'armée congolaise, ont été tuées dans deux attaques lundi et mardi au Nord-Kivu, dans l'est de la République démocratique du Congo (RDC), a-t-on appris de source militaire congolaise.Ces attaques ont été menées par des rebelles hutus rwandais associés à des miliciens congolais locaux Maï Maï, dans deux localités, à Nyamilima (lundi) et à Katwerugu (mardi), sur le territoire de Rutshuru, à environ 75 km au nord-est de Goma, chef-lieu du Nord-Kivu, selon un officier congolais basé à Goma, s'exprimant sous couvert d'anomymat.Sept civils ont été tués et six blessés au cours de combats entre l'armée et des rebelles hutus associés à des combattants Maï Maï, selon la même source.Ce bilan a été confirmé par le centre médical de Nyamilima, a-t-on appris auprès du bureau de la Mission de l'Onu en RDC (Monuc) à Goma.Au cours de la seconde attaque, très tôt ce mardi dans le village voisin de Katweguru, six rebelles hutus rwandais, un soldat congolais et un civil ont été tués, selon un bilan de l'armée congolaise qui n'a pas encore été confirmé par d'autres sources.Ces deux attaques interviennent moins d'une semaine après le lancement d'une opération conjointe de la Monuc et de l'armée congolaise pour déloger des rebelles hutus des Forces démocratiques de libération du Rwanda (FDLR) du parc des Virunga, proche des villages attaqués.Au cours de cette opération, qui avait mobilisé 300 Casques bleus indiens et 600 militaires congolais, un camp des FDLR a été détruit à Rive, à moins de 10 km de Katweguru."On peut se demander à quoi servent finalement ces opérations, quand on voit ensuite la violence des attaques dirigées contre les civils", a déclaré à l'AFP un observateur des Nations unies basé au Nord-Kivu, s'exprimant sous couvert d'anonymat."Nous faisons de la sensibilisation, pour inciter les combattants Maï Maï à intégrer le programme national de désarmement, et les rebelles rwandais à accepter un rapatriement au Rwanda. Certains acceptent, mais au compte-goutte", a-t-il poursuivi.Plusieurs agences humanitaires ont par ailleurs récemment dénoncé le déplacement de près de 150.000 civils au Nord-Kivu, à la suite d'opérations militaires menées ces derniers mois.Les FDLR, basées depuis 12 ans dans l'est de la RDC, région frontalière du Rwanda, sont composées de membres de l'ancienne armée rwandaise, dont certains sont accusés d'avoir participé au génocide de 1994 au Rwanda, et de jeunes combattants recrutés alors qu'ils étaient encore enfants.Leur présence en RDC est considérée par la communauté internationale comme l'une des principales sources d'insécurité dans la région.

giovedì, maggio 04, 2006

 

Nyamilima caput mundi

Qualche foto. In qualche modo sono emblematiche spero si commentino da sole, ma se qualcuno vuole possiamo commentarle insieme. per le foto strappalacrime rivolgersi altrove, non che manchino i soggetti ma...




 

Thomas Sankara "la rivoluzione Burkinabè"


Figura stoppo spesso sottovalutata, è stata secondo alcuni e soprattutto secondo me, una delle speranze più grandi dell'Africa. Nei quattro anni in cui è stato al potere ha dimostrato con i fatti che un cambiamento era possibile.
Ma come tutti i grandi del continente era troppo scomodo ed ha fatto la solita fine: assassinato dal suo migliore amico e compagno. La sua memoria però vive ancora.
Segue una breve scheda tratta dalla quarta di copertiina di un libro speciale di una piccola casa editrice italiana che prende il suo nome www.sankara.it
Il 4 agosto 1983 dei giovani ufficiali si impadronirono del potere in Alto Volta proclamando la Rivoluzione e nominando Presidente Thomas Sankara. L'anno successivo il paese prese il nome di Burkina Faso, Paese degli Uomini Integri.
Si capì ben presto che lo stile di Sankara era nuovo, diverso, tanto da suscitare per le sue caratteristiche di integrità, provocazione, imprevedibilità, trasparenza, onestà, calore, sentimenti di amore e di odio, odio così profondo da portare alla sua uccisione il 15 ottobre 1987.
Ma il suo pensiero resta nel popolo africano ancora molto forte. Lui con le sue campagne in favore del disarmo, dell'eliminazione del debito nei paesi del sud del mondo, della riforestazione, lui che si batteva in favore delle donne per superare quella tradizione che le vedeva sottomesse agli uomini, lui che aveva abolito i privilegi a se stesso ed al suo staff presidenziale perché non poteva pensare ad un presidente ricco in un paese dalle scarse risorse, lui che faceva visite improvvise nei ministeri e negli uffici della Presidenza per controllare il funzionamento degli ingranaggi dello stato e per verificare la pulizia dei bagni! Lui con la sua Renault 5, quando la sua carica gli consentiva di ottenere ben altro, lui che si batteva per l'uso dei costumi locali come aveva fatto Gandhi in India, lui che ha creato un ufficio per le relazioni con le Organizzazioni Non Governative, lui che aveva costituito degli orti accanto ai ministeri perché riteneva che i funzionari che non sapevano coltivare non potevano neanche capire le necessità del popolo dedito all'agricol­tura. Forse proprio per tutto questo venne assassinato, anche se sul certificato di morte si parla di "morte naturale".

lunedì, maggio 01, 2006

 

Nyamilima ieri e oggi

Questo articolo è una "spartana" traduzione di un lavoro del POLE INSTITUTE del maggio 2005 . Quindi sarebbe meglio leggere l'originale a questo indirizzo:http://www.pole-institute.org/site_web/echos/echogoma1.htm Una lettura abbastanza interessante per meglio comprendere la situazione attuale. Dopo i commenti ricevuti aggiungo che alcuni punti andrebbero approfonditi e discussi. invito chi ha elementi per farlo a dire la sua.

Incastrato tra i Parchi Nazionali di Virunga e la frontiera ugandese, Nyamilima è un villaggio che conta più di 30.000 abitanti. Questi ultimi sono i discendenti dei lavoratori provenienti dai territori di Lubero e Rutshuru e che costituivano la mano d'opera dell'economia delle piantagioni di caffè durante il periodo coloniale ed all'indomani dell'indipendenza. Il cedimento di questa economia delle piantagioni ha lasciato dietro di se migliaia di persone senza terra che sopravvivono rosicchiando le terre periferiche del Parco Nazionale dei Virunga. Quando il Pole Institute ha cominciato a lavorare in questo villaggio sulla necessità di una leadership locale e di un democrazia participativa in un contesto di assenza di stato, la popolazione di Nyamilima, era impegnata in una lotta di recupero delle terre di una parte del Parco Nazionale per la sua sopravvivenza. Questo nocciolo locale di leadership ha saputo mobilitare la popolazione, negoziare con le autorità politiche ed amministrative e ha avuto qualche risultato parziale quando i servizi dell'istituto congolese per la conservazione della natura (ICN) hanno accordato loro una parte del parco per le loro culture. Questa dinamica di coabitazione pacifica della popolazione di Nyamilima intorno a degli interessi comuni aveva fatto di questo villaggio un laboratorio pilota per parecchi progetti di sviluppo. L'ospedale locale della missione cattolica gestito da un figlio della regione era riuscito a creare altri piccoli centres de santé nei dintorni così che Nyamilima è oggi una zona di santé rurale che coordina parecchi projets de santé. Il CREDAP (Comitato di Riflessione per il Rilancio Agro-pastorale), una piattaforma animata dal Pole Institute, ha iniziato nel villaggio un'esperienza di micro-crédits che ha migliorato sensibilmente i redditi della popolazione. La scuola secondaria del villaggio è impiantata solidamente con una direzione e degli insegnanti competenti. La missione cattolica del villaggio, che è il cuore della vita di Nyamilima, è impegnata nelle iniziative pubbliche quali la gestione dei fondi di " pillage route ", (così i congolesi chiamano il "pedaggio"), ed alcuni progetti di sviluppo. Da quando le bande armate Mayi Mayi, Interahamwe ed ex-FAR operano nel Parco Nazionale di Virunga, la popolazione di Nyamilima che coltiva nelle periferie del parco fa fatica a rifornirsi di viveri. Le bande armate attingono ai campi dei contadini a loro gradimento, cacciano ed uccidono questi ultimi quando osano andare ai campi. In un villaggio, famoso a suo tempo per le sue culture di caffè e mais, la popolazione fa fatica a nutrirsi ed è minacciata costantemente dalla carestia. In questo contesto di povertà, i posti di lavoro remunerati all'ospedale locale, alla scuola elementare e secondario, e dei nuovi spazi sono diventati alla missione cattolica di competizione tra i Hutu ed i Nande che il clima politico attuale nutre e manipola. Le ribellioni cominciate all'est del RDC hanno visto l'uscita sulla scena politica e militare dei Banyarwanda - Hutu e Tutsi confusi - nell'esercizio del potere locale, territoriale e provinciale. All'epoca di una riunione che Polo Institute aveva tenuto nel marzo 2004 col nocciolo locale di Nyamilima, i membri del nocciolo dell'ethnie Nande avevano espresso la loro frustrazione di vedere che tutti i posti di potere sono in mano ai soli Hutu. L'esercizio del potere locale e territoriale da parte degli Hutu nella zona di Rutshuru non era nuovo in questa chefferie di Bwisha sotto il controllo del Mwami Hutu Daniele Ndeze fin dagli anni 1920. La novità nella conquista del potere dei Banyarwanda si era imbronciata soprattutto al livello provinciale e nazionale dalla loro salita con l'AFDL di Laurent Kabila ed il RCD/Goma. La nascita di una milizia locale Mayi Mayi comandata da Jackson, dell'etnia Nande, era percepita dal suo gruppo come una risposta alle loro frustrazioni. Deboli militarmente per fare fronte all'esercito dell' RCD appoggiato dal Ruanda fino all'ottobre 2002, i Mayi Mayi di Jackson hanno forgiato un'alleanza congiunturale con gli Interahamwe ruandesi ed ex-FAR. Queste due bande armate hanno diviso degli obiettivi comuni in passato, e custodiscono ancora oggi alcune azioni congiunte di circostanza quando necessario pure vivente in due quartieri generali distinti, gli Interahamwe ed ex-FAR nella località di Busesa ed i Mayi Mayi di Jackson nel Parco di fronte a Nyamilima. Il processo di riunificazione del paese generato degli accordi di Sun City e l'istituzione di un governo di transizione fu accolto nel Nord-Kivu dalle popolazioni non Banyarwanda come un ritorno all'ordine degli affari pubblici. Per buono numero di essi, il campo della patria incarnata dal potere centrale di Kinshasa dovrebbe liberarli dal giogo dei Banyarwanda che occupano lo spazio politico e militare nella provincia del Nord-Kivu. L'opposizione tra Hutu e Nande a Nyamilima ed i villaggi circostanti si inseriscono in questo contesto politico locale inasprito da una transizione in panne, incapace di essere all'altezza delle speranze suscitate. La guerra di Kanyabayonga nel dicembre 2004, è stata preceduta, nella chefferie di Binza, da una molteplicità di assassini e di atti di rappresaglia tra i Hutu ed i Nande perpetrati dai Mayi Mayi di Jackson e i militari dell' RCD/Goma contrapposti. L'invio di diecimila militari da Kinshasa nell'est dell' RDC in dicembre 2005 è stato percepito e vissuto dai Mayi Mayi di Jackson come un'opportunità di buttare fuori dalla chefferie di Binza i Banyarwanda. Dopo l'insuccesso di Kanyabayonga, Jackson ed i suoi Mayi Mayi chiedono oramai che i Banyarwanda si ritirino dalla zona tra le frontiere con l'Uganda di Ishasha fino al fiume Ngwenda che segna il limite tra i raggruppamenti di Binza e quello di Bukoma. Questa rivendicazione è inaccettabile agli occhi degli Hutu che considerano il territorio di Rutshuru un loro spazio politico e culturale di origine e che non è possibile che i Nande discendenti dei primi abitanti del territorio di Lubero li escludano dal raggruppamento di Binza. La tensione sale e l'approssimarsi delle elezioni rischia di dare fuoco alle polveri. È in questo contesto di tensioni crescenti a Nyamilima, dall'opposizione tra Nande e Hutu che si spiega l'assassinio all'arma bianca di Michel BARAYATA. Dall'epoca dei reciproci ethnicistes "Magrivi" per i Hutu e "Kyahanda" per i Nande degli anni 1980, Michel BARAYATA era percepito come uno dei leader Hutu, una leadership che peraltro rivendicava lui stesso. La comunicazione tra i Mayi Mayi ed Interahamwe nel Parco Nazionale e la loro rete di informazione nel villaggio è resa possibile da due ripetitori Vodacom e SuperCell situati sulla collina al disopra di Nyamilima. Questa efficacia nell'informazione, resa possibile dalla nuova tecnologia cellulare ha seminato la paura tra la popolazione. Le dispute ed i conflitti di interessi nel villaggio sono ritrasmessi via cellulari alle bande armate installate nel Parco Nazionale che, a loro volta, vengono a fare giustizia con esecuzioni sommarie. La modernità mondializzata ha i suoi vantaggi ed i suoi inconvenienti e le popolazioni di Nyamilima temono la spirale di violenza che ha preso un tornante etnico e che beneficia del telefono portatile. Nel villaggio di Buramba vicino a Nyamilima ed oggi quasi deserto, la contrapposizione tra i Mayi Mayi e i militari ex-ANC del RCD/Goma ha fatto una ventina di morti civili nel dicembre 2004. Il peggio non è ad escludere e ci si chiede come si potrebbe evitarlo." Una domanda interessante! Nel frattempo gli sviluppi sono stati tanti; La politica ha lavorato, la monuc presente fino a poco tempo fa anche a Nyamilima ha lavorato e come diceva qualcuno dei servizi civili della Onu:" le lancette dell'orologio girano...non si vedono ma girano, e la storia fa il suo corso." Voleva dire che i risultati prima o poi si vedranno. Nel frattempo però quando ci si azzarda a dire che è scoppiata la pace le cose precipitano nuovamente. A Novembre scorso, proprio mentre mi trovavo a Nyamilima i May May si consegnavano e il problema si dava già per risolto. la vita ferveva e non c'era nessun problema per la sicurezza. Responsabili ONU dei diritti umani, della donna e dei bambini frequentavano la missione e parlavano con la gente e le istituzioni. A me sembrava quasi che fossimo già in una fase di ricostruzione e la guerra alle spalle. Subito dopo è esploso nuovamente il problema Interahamwe e poi i fatti di Rutshuru. Nel prossimo post aggiornamenti sulla situazione.

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